“PARABIAGO SENZA SCARPE – 2″

Il museo di Parabiago, oltre alle collezioni esposte, possiede anche un ricco archivio di documenti, molti relativi al XX secolo.

Questo post prende le sue mosse da alcune fotografie che riguardano la fabbrica Pino Arredamenti Metallici.

Durante la fase di stesura di questo testo la Fondazione è entrata in possesso di alcune sedie impilabili in tubolare metallico, realizzate da Pino Arredamenti Metallici negli anni Settanta.

 

Pino Arredamenti Metallici

Sedia impilabile in tubolare metallico Pino, custodita presso il Museo della Fondazione Carla Musazzi @collezione privata

Dai dati ricavabili dai pochi documenti ufficiali conosciuti, la Ditta Pino prende tale denominazione quando, la proprietà passa al Rag. Emilio Pino, quella precedente è Carlo Crespi. Il telegrafo è intestato, negli anni ’30 a Crespi – Pino.
L’Annuario Industriale della Provincia di Milano del 1939 ci informa che la Mobili Metallici Pino ha sede in Piazzale Stazione a Parabiago (l’attuale galleria era il corridoio degli uffici, mentre l’ingresso operai e merci era il cancello tuttora esistente su Via 24 maggio), con agenzia e negozio in Milano e rappresentanze in tutte le regioni.
E’ stata fondata nel 1885, il proprietario alla data è il Rag. Emilio Pino. E’ messinese, piccolo di statura, magro, nervoso, elegante, è stato estratto vivo dalle macerie del terremoto quand’era ancora bambino.
Approda a Parabiago dove sposa la figlia di Carlo Crespi e, dopo essere stato il dirigente della ditta del suocero, verso i quarant’anni diviene proprietario dell’azienda, che assume il suo nome.
Produce letti e mobili metallici in genere, mobili in ferro per ospedali, sanatori, cliniche, collegi, opifici, caffè, teatri, ecc…, mobili in acciaio per uffici, mobili moderni in tubo d’acciaio cromato o laccato.

La ditta è dotata di mutua interna, spaccio viveri, dopolavoro e refettorio.

Esporta nelle colonie italiane, in Venezuela, Colombia e Albania.

Nell’annuario sopra citato, sono inoltre riportati i consumi elettrico e termico; non molto alti ma significativi per l’epoca. Non tutti avevano il riscaldamento.

Come si evince da queste informazioni, verso la fine degli anni trenta, Pino era un’azienda di tutto rispetto.

La sua produzione non ha avuto sempre le stesse caratteristiche. I mobili degli inizi del ‘900 sembrano imitare in ferro le caratteristiche formali e i motivi decorativi dei coevi mobili in legno.

La svolta decisiva nella produzione avviene negli anni ’34 –’35, quando, complice forse la scarsità di acciaio sotto il regime, si passa a mobili in tubolare di ferro, di concezione decisamente più razionale. Decisivo è l’incontro nel 1935 con uno dei più significativi architetti del ‘900: Gabriele Mucchi (1899 -2002 – non ci sono errori nella trascrizione delle date, la vita di questo architetto attraversa ben tre secoli!)

Racconta lo stesso Mucchi:

Io ero presso una ditta di Parabiago ‘Mobili metallici Pino’ (perché Pino era il costruttore), che costruiva soprattutto quei letti di ferro che hanno delle testate e ai piedi pannelli di lamiera dipinti. Così da sembrare a volte di legno, con al centro soggetti religiosi, eccetera. Io ho cambiato completamente tutti questi modi e il mio datore di lavoro ha cominciato ad avere molta fiducia in me. Allora potevo inventare liberamente modelli di poltrona in tubi di acciaio, di scrivanie, di tavoli e soprattutto quelle sedie sovrapponibili che sono entrate, negli anni Trenta, in case, bar, uffici, ospedali, alberghi in tutta Italia.

L’intesa tra il produttore e il designer rinnova in pochissimi anni il volto dell’azienda, che si afferma anche attraverso la partecipazione a fiere e alla VI Triennale. 

Nelle sedie vi è una netta separazione tra struttura ed elementi portati. Questi possono essere in lamiera, rafia, corda, legno. 

Dopo la morte del titolare, nei primi anni dopo il 1950, la fabbrica si trasferisce in una nuova sede in Viale Legnano; negli anni successivi annovera tra i suoi clienti il Comune di Parabiago e importanti aziende locali.

Diciamo qualcosa di più su Gabriele Mucchi, personaggio multiforme. Figlio di un regista, è laureato in ingegneria, ma anche un pittore quotato (buon esponente dello Stile Novecento, nel dopoguerra è questa la sua attività prevalente), illustratore, insegnante d’arte a Berlino.

Come architetto si occupa fino alla fine della sua lunga carriera di edilizia e di urbanistica. Tra le sue opere in questo campo, la partecipazione nel dopoguerra alla costruzione del QT8, insieme con la moglie, la nota artista internazionale Jenny (“Genni”) Wiegmann.

Dopo una breve fortunata stagione di buoni risultati, Mucchi durante la guerra perde di vista Pino, forse perché il primo si dà alla macchia, mentre il secondo si imbosca. Lo ritroverà alla fine della guerra, sul letto di morte, distrutto dagli eccessi di una vita da gaudente. In quella circostanza Emilio Pino affida a Mucchi l’incarico di progettare la propria tomba di famiglia nel cimitero di Parabiago, esprimendo il desiderio di “essere seppellito al sole”. Il monumento funebre viene completato con due bassorilievi e una stele di Jenny Wiegmann.

Se qualcuno fosse preso dal desiderio di vedere questa importante e per lo più ignorata testimonianza artistica, al cimitero non troverebbe nulla. Mucchi stesso segnala nel suo libro di memorie che la tomba fu smontata nel 1993. Dopo vari spostamenti, i pezzi smontati si trovano nel deposito del cimitero di Parabiago.

PiErre

 

Alla prossima storia…