Giuseppe Maggiolini. Inediti e ipotesi intorno alla figura del grande ebanista
Gabriella Petrone è una restauratrice di Parabiago, autrice tra l’altro del restauro di due delle tele del controsoffitto del Collegio Cavalleri custodite presso il Museo della Fondazione.
Nel 2014, in occasione del bicentenario della morte dell’ebanista Giuseppe Maggiolini, è stata incaricata dalla Fondazione Carla Musazzi di realizzare la mostra Giuseppe Maggiolini un virtuoso dell’intarsio e la sua bottega in Parabiago, insieme con Carola Ciprandi, Gabriella Nebuloni, Federico Pecchenini e Piero Rimoldi. Curatore della mostra era il Professor Enrico Colle, direttore del Museo Stibbert di Firenze e noto esperto del Maggiolini. L’incarico era esteso al catalogo della mostra, nella stesura del quale si era occupata della biografia dell’ebanista.
Durante le ricerche per la stesura del suo contributo, Gabriella Petrone aveva scoperto inedite informazioni relative a personaggi appartenenti alla famiglia del Maggiolini e al loro ruolo nella bottega.
Dopo la pubblicazione nel catalogo, queste informazioni sono state riprese e aggiornate da Gabriella Petrone nell’articolo “Giuseppe Maggiolini. Inediti e ipotesi intorno alla figura del grande ebanista”, pubblicato dalla rivista online “La gazzetta dell’antiquariato” e che vi riportiamo qui di seguito.
DALLO STUDIO DEI DOCUMENTI D’ARCHIVIO EMERGONO NUOVI DATI CHE MODIFICANO IN PARTE QUANTO NOTO SULLA FAMIGLIA MAGGIOLINI. RIPORTATI NEL CATALOGO DELLA MOSTRA REALIZZATA IN OCCASIONE DEI 200 ANNI DALLA MORTE DEL GRANDE EBANISTA LOMBARDO.
Nel 2014 Parabiago (MI) ricordava con la mostra “Giuseppe Maggiolini un virtuoso dell’intarsio e la sua bottega in Parabiago” il grande concittadino morto nel 1814. Curatore dell’esposizione era il professor Enrico Colle con il quale, insieme ad altri amici e colleghi, Gabriella Petrone ha collaborato per organizzare l’evento e redatto per il Catalogo la parte biografica dal titolo: “Giuseppe Maggiolini e la sua Famiglia di Falegnami in Parabiago, Fattori Educativi ed Ambientali nella Collettività dell’Epoca (ipotesi sulla formazione di una genialità artigiana)”. Nel testo che segue l’autrice riporta in prima persona novità e ipotesi emerse dagli studi svolti in quella occasione.
Durante la stesura del Catalogo ho avuto modo di esaminare alcuni documenti relativi alle origini famigliari e alla figura di Maggiolini fino ad allora rimasti sconosciuti.
Quanto segue intende collocare l’immagine di Maggiolini nel suo ambito sociale in un contesto realistico, e fare luce sulle tante inesattezze che purtroppo sono state scritte sull’uomo – sin dalla prima biografia ottocentesca ad opera di Giacomo Antonio Mezzanzanica – e che a tutt’oggi ancora vengono divulgate. Propongo, dunque, una rilettura del personaggio, una visione diversa da quella fatta in questi due secoli. Non è compito della scrivente analizzarne le opere né dal punto di vista artistico, né tecnico.
Il maestro falegname Giuseppe Maggiolini (1738-1814) nasce e muore a Parabiago. Come è noto, il suo merito è stato quello di essere il primo a far rifiorire in periodo neoclassico il metodo dell’intarsio nel mobile, e a farlo apprezzare tra i nobili e l’alta borghesia. La sua produzione lo rese celebre in tutta l’Europa del tempo. Di lui conosciamo soprattutto i capolavori usciti dalle sue botteghe artigiane nel corso dei 76 anni di vita.
Dopo Giuseppe, la bottega parabiaghese continuerà la produzione con figlio Carlo Francesco, e alla morte di questi proseguirà sino al 1845 sotto la guida dell’ebanista Cherubino Mezzanzanica (1790-1866), allievo e unico erede della bottega dei Maggiolini.
L’AMBIENTE PARABIAGHESE
Sintetiche note descrittive dell’ambiente cittadino dell’epoca, dei personaggi che lo frequentarono e che entrarono in rapporto con i Maggiolini, aiuteranno a comprendere il periodo storico vivace e opulento in cui operò la famiglia artigiana.
Innanzitutto, ricordiamo l’evento che segnò il successivo sviluppo cittadino e la frequentazione altolocata del luogo: lo storico scontro per il dominio di Milano che contrappose i membri della famiglia Visconti il 21 febbraio 1339 in località Parabiago. La sorte della battaglia – vinta dall’esercito di Azzone Visconti, Signore di Milano – fu attribuita al miracoloso intervento di Sant’Ambrogio, per celebrare l’apparizione del quale venne eretta in loco la Chiesa di Sant’Ambrogio della Vittoria con annesso Monastero. Da allora la cittadina sarà meta di pellegrinaggio in occasione dell’annuale ricorrenza.
Nei secoli, alla direzione del complesso monastico si succedettero diversi ordini religiosi. Affidato infine ai Cistercensi, fu completamente ricostruito dagli inizi del ’700 al 1725. Tra le sue mura i monaci accoglievano, per dar loro un’istruzione, non solo i fanciulli del popolo ma anche i figli dei nobili e dei possidenti locali.
L’ambiente si presentava ricco, moderno, sfarzosamente austero e aristocratico poiché gli abati e i monaci – che non disprezzavano le piacevolezze – erano in genere figli cadetti di nobili famiglie. L’edificio già nel 1708, se pur non ultimato, ospitò con tutti gli onori Elisabetta Cristina di Brunswick e tutto il suo numeroso seguito, in viaggio da Vienna verso Barcellona dove la nobildonna sarebbe andata in sposa a Carlo VI d’Asburgo imperatore del Sacro Romano Impero. La chiesa di Sant’Ambrogio della Vittoria ancora oggi è un edificio ricco di opere d’arte.
Tra il Sei e il Settecento l’aristocrazia milanese e lombarda fece di Parabiago una zona di villeggiatura e di residenza, edificando palazzi dove, tra feste e piaceri, soggiornavano spesso illustri personalità, artisti e letterati.
Oltre che località amena, presto la cittadina divenne un luogo adatto all’istruzione e alla crescita dei giovani della nobiltà residente. Fu così che in seguito all’aumento della richiesta educativa per i figli del patriziato, nel 1696 l’agiato padre dei fratelli sacerdoti Don Claudio I e Don Carlo Filippo Cavalleri acquistò un immobile per i figli che vi aprirono un Collegio Convitto. Nel corso dei lunghi anni di attività, il prestigioso Collegio Cavalleri sarà meta di numerosissimi illustri allievi che vi faranno spesso ritorno tra grandi festeggiamenti, per incontrare i vecchi insegnanti.
Ad evidenziarne il benessere diffuso, sono anche le prevalenti attività economiche del luogo: la produzione vitivinicola e le manifatture tessili impiantate dai nobili frequentatori del paese. Per secoli nelle campagne lombarde si praticò massivamente la bachicoltura; all’epoca del Maggiolini erano presenti sul territorio migliaia di piante di gelso. Milano, infatti, era uno dei maggiori centri di produzione serica d’Europa, famoso per la tessitura di sete e velluti. Maggiolini, che era definito “fabbro legnario”, oltre ai pregiati mobili, produceva infissi di vario genere, assicelle per mulini da macina di vario tipo, mangani atti alla lucidatura della seta, apparati per i grandi mulini filatoi di seta allora attivi nelle numerose filande presenti in paese ed in zona.
LA FAMIGLIA D’ORIGINE E I LEGAMI FAMIGLIARI
Dei genitori di Giuseppe, Gilardo Maggiolini e Caterina Cavalleri, conosciamo solo i documenti custoditi nell’archivio parrocchiale e sono quelli riguardanti gli atti di battesimo dei sei figli e figlie.
Emerge, dai certificati visionati in occasione della mostra, l’esistenza di un primo figlio della coppia, Carlo Andrea, il solo che, come Giuseppe, riuscirà ad arrivare all’età adulta.
Gilardo Maggiolini era uomo di fiducia del Marchese Cosimo Moriggia grande di Castiglia, che a Parabiago vantava possedimenti, un palazzo e una tessitura di seta. Il Marchese godeva di ulteriori vaste proprietà e di una forte influenza sul territorio centro-settentrionale del lago Maggiore – conosciuto anche come “Terre Morigie” – di cui era probabilmente originario Gilardo, il cui nome negli atti viene preceduto dalla sigla “M.s.” riservata a chi ricopre incarichi di una certa rilevanza. Morì nel periodo compreso tra gli ultimi mesi del 1753 e la fine del 1756. La moglie, Caterina, è una Cavalleri, proveniva cioè da un’antica famiglia della zona, proprietaria di vasti possedimenti terrieri e imparentata con altre facoltose famiglie.
Sappiamo che il diciottenne Giuseppe non terminò la sua formazione professionale nel laboratorio di falegnameria del convento, con disappunto del suo insegnante Calati e del falegname parabiaghese Martinetti a cui competeva il rilascio dell’attestato di idoneità per aprire bottega. Possiamo ipotizzare per entrambi i fratelli la stessa formazione professionale presso i Cistercensi.
Dal primo biografo, G. A. Mezzanzanica, non abbiamo notizie di Carlo Andrea, né della sua possibile presenza in bottega (nell’epopea maggioliniana costui non compare), eppure nel frammento di una ricevuta della Gabella di Gallarate datata a dì 14 7.bre 1775 (ritrovato all’interno della Commode esposta alle Civiche Raccolte d’Arte applicata di Milano) troviamo scritto: “Carlo Defelipi e Carlo Magiolino e Giuseppe Magiolino Fec(ero) (Ori)gio Parabiago”. Vista la data certa, mi sembrerebbe più plausibile attribuire il nome “Carlo Magiolino” al fratello di Giuseppe, Carlo Andrea, piuttosto che al suo diciassettenne figlio Carlo Francesco. La confusione e l’incertezza circa i membri della famiglia produsse a suo tempo anche un errore riguardante la targa della via dedicata ai Maggiolini a Milano; riportante originariamente: “ai fratelli Giuseppe e Carlo Maggiolini” fu ritenuta in seguito sbagliata (perché anche in questo caso si prestò fede al biografo), e per questo venne corretta in: “Giuseppe e Francesco Carlo Maggiolini”, indicando quindi chiaramente padre e figlio. Forse, i due fratelli, alla morte del padre Gilardo, con il sostegno dei facoltosi parenti e padrini / tutori (padrino di Carlo Andrea era un possidente imparentato con la madre), aprirono insieme la falegnameria, o forse essa fu avviata dal solo Carlo Andrea; in bottega, Giuseppe potrebbe aver assunto anche il ruolo di “manager”, trattando con la facoltosa clientela.
“MAGGIOLINO” O “MAGGIOLINI”?
Su alcuni mobili le firme riportano “Maggiolino” e non “Maggiolini”.
Nell’atto di battesimo i figli di Gilardo, Carlo Andrea e Giuseppe, vengono registrati come “Maggiolini”. In poca più tarda i figli di Giuseppe sono nominati: i maschi come “Maggiolino” e le femmine come “Maggiolina”. Solo nell’atto di morte di Giuseppe troviamo scritto “Sig. Maggiolini”.
La cosa non sorprende. Nei secoli scorsi accadeva spesso che ci fosse una diversità nella desinenza dei cognomi, dovuta al Curato che redigeva l’atto o a una forma dialettale. I Maggiolini stessi, in più, usavano il cognome anche al singolare.
IMPORTANTI LEGAMI FAMIGLIARI E AMICIZIE
Padrino di battesimo di Giuseppe fu Pietro Paolo Coldiroli, notabile che ricoprì l’incarico di Cancelliere della comunità, colui che nel 1751 fu redattore e firmatario delle risposte ai “45 Quesiti” dell’imperatrice Maria Teresa. Suo figlio, il Sacerdote Antonio Maria Coldiroli, insegnante del Collegio Cavalleri (Parabiago 1728-1793, documentato alla sua morte come Rettore del Collegio), cui venivano attribuite vaste competenze in ambito letterario e tecnico/scientifico, era solo di dieci anni più grande di Giuseppe e rappresentò per questi un fraterno punto di riferimento da cui apprendere.
Importante fu anche il legame di Giuseppe col suo “nume tutelare” e affezionato cliente – anche lui allievo del Collegio Cavalleri – Gian Battista Moriggia (figlio del marchese Cosimo), che a Milano introdusse l’ebanista alla piccola corte personale di Ferdinando d’Asburgo, di cui faceva parte come deputato di Palazzo e primo magistrato del Comune. Il Moriggia, quando nel 1771 venne incaricato con altri nobili di dirigere i lavori e i festeggiamenti in occasione del matrimonio dell’arciduca con Maria Beatrice D’Este, favorì la nomina di Giuseppe a intarsiatore delle Altezze Reali.
Un’altra relazione significativa nacque in occasione della ristrutturazione di Palazzo Reale su progetto di Giuseppe Piermarini, con la supervisione di Leopold Pollack. Maggiolini, che ricevette l’incarico di eseguire lavori di pavimentazione, arredi e infissi, instaurò con il Piermarini una profonda amicizia e una proficua collaborazione. I due lavorarono insieme in occasione della costruzione della Villa Reale di Monza voluta dall’imperatrice Maria Teresa nel 1777 come residenza estiva per la coppia arciducale. Per amicizia, l’architetto Piermarini disegnerà la facciata della Chiesa dei S.S. Gervasio e Protasio di Parabiago.
Anche l’architetto Giocondo Albertolli e i pittori Andrea Appiani e Giuseppe Levati, erano legati, come il Piermarini, al Maggiolini, per amicizia e collaborazione, e tutti frequentavano il salotto parabiaghese dei Moriggia.
LA DISCENDENZA INEDITA
Nel 1757 Giuseppe sposò Antonia Margherita Vignati. La coppia ebbe quattro figli e in più adottò una bambina di cui l’ebanista era stato padrino di battesimo.
Tutte le femmine morirono in tenera età; i due figli maschi che arrivarono ad essere adulti furono il già menzionato Carlo Francesco (1758 1834) e il secondo figlio Giovanni Gerardo, un altro membro della famiglia del quale si ignorava l’esistenza, riemerso dalle mie ricerche in occasione della mostra del 2014. Giovanni Gerardo Maggiolini nacque nel 1764 e morì il 26 maggio del 1796 a 32 anni; le sue esequie furono solenni. Non c’è dato sapere se lavorasse con il padre, ma va rilevata la concomitanza della sua morte con il periodo in cui per Giuseppe e per la bottega iniziò un periodo di difficoltà e crisi. Infatti, a parte alcune eccezioni, la produzione ottocentesca divenne quasi di serie, con modelli ripetitivi e rispondenti alle disponibilità economiche dei committenti.
A parere del primo biografo G.A. Mezzanzanica, le difficoltà furono dovute alla “sofferenza d’animo” di Giuseppe per la partenza forzata del suo mecenate, l’Arciduca Ferdinando d’Asburgo Este Governatore di Milano, dopo la conquista Napoleonica del 1797, e al conseguente cambio di regime e di gusto decorativo in Lombardia.
IPOTESI DI UN’IMPRESA FAMIGLIARE ALLARGATA
Giuseppe Maggiolini fu sicuramente un geniale imprenditore e i suoi sodalizi con i più famosi artisti del momento l’avranno di certo aiutato, così come i numerosi qualificati operai/allievi. Immagino però che l’impegno gestionale della “fabbriceria” dovesse essere considerevole e complicato, vista la sua espansione e le centinaia di pezzi prodotti.
La falegnameria di Milano/Monza, nel periodo in cui la produzione era maggiore, contava una trentina di lavoranti, quella di Parabiago più di una dozzina. Infatti Maggiolini nel 1791 acquistò una parte del collegio Cavalleri; nei piani superiori sistemò l’abitazione, mentre collocò il suo secondo laboratorio nella prestigiosa sala originariamente adibita a rappresentazioni teatrali. Era questa un’ampia stanza ricca di decorazioni murarie avente come controsoffitto una grande tela, oggi in parte perduta, dipinta da Giuseppe Medici alla maniera dei Bibiena. Ho avuto modo di restaurarne due grandi parti e di riscontrarne una possibile somiglianza, in tono minore, con la decorazione della balconata del soffitto del Teatro dei Margravi a Bayreuth in Baviera.
La realizzazione dei mobili, da quelli più semplici a quelli più importanti, comprendeva – oltre al reperimento dei legni (alcuni d’importazione), dei marmi pregiati e dell’altro materiale d’uso corrente – la realizzazione: delle maniglie sbalzate, dei bronzi dorati, della ferramenta atte al realizzo dei famosi “cassetti segreti”, fino alla creazione delle grandi figure a tutto tondo in legno dorato che arricchiscono la “commode Busca”. Alla luce della scoperta delle due nuove figure parentali, quindi, suggerirei di pensare ad un’impresa famigliare a conduzione più ampia che, oltre a Giuseppe e al figlio Carlo Francesco – che il biografo Mezzanzanica definisce “irrequieto” al punto da rischiare la vita, e “aspirante capo comico” – possa ipotizzare il coinvolgimento del fratello maggiore Carlo Andrea e del figlio Giovanni Gerardo, sia nella produzione sia nella realizzazione dei disegni. E perché no, qualche incarico, anche per la moglie Antonia Vignati.
I MEZZANZANICA E LA PRIMA BIOGRAFIA INCOMPLETA
La prima biografia su Giuseppe Maggiolini e la sua famiglia si deve a Giacomo Antonio Mezzanzanica (1826-1880), parroco di Albignano.
Lo scritto venne stampato a Milano nel 1878 con il titolo “Genio e lavoro, biografia e breve storia delle principali opere dei celebri intarsiatori Giuseppe e Carlo Francesco Maggiolini di Parabiago, indirizzata ai giovani artisti, artefici ed artigiani”. L’opera, dunque, è dedicata al grande ebanista e a suo figlio.
Cherubino Mezzanzanica, padre dell’autore, era entrato come garzone nella bottega Maggiolini all’età di 10 anni (come accadeva in passato, ai fanciulli veniva fornito vitto e alloggio), divenendo poi operaio ebanista e infine erede della bottega.
Morto il padre, pertanto, il parroco G.A. Mezzanzanica si trovò in possesso di una cospicua parte del prezioso archivio Maggiolini: quasi duemila fogli di corrispondenza e disegni (una buona parte era già andata distrutta). A seguito della lettura della “Storia di Milano”, opera di Francesco Cusani del 1864 che in un passaggio cita: i “Maggiolini stipettai di Parabiago”, il parroco decise di divulgare i documenti in suo possesso e raccontarne la storia.
Nella biografia redatta egli scrive che: “Dalla ispezione dei registri parrocchiali, accuratamente eseguita”, e dai racconti paterni ha appreso le vicende dell’intarsiatore. In qualche modo, però, la memoria dovette fare difetto allo scrivente, e se non a lui, a suo padre, avendo mancato di menzionare nel racconto di famiglia sia il fratello maggiore di Giuseppe (Carlo Andrea) sia il figlio Giovanni Gerardo.
UN’IPOTESI ESAMINANDO I FATTI
Giacomo Antonio Mezzanzanica dà la sua opera alle stampe all’età di 52 anni; suo padre Cherubino è morto 12 anni prima. Quando il bambino Cherubino inizia a lavorare per i Maggiolini è il 1800; la bottega a quel tempo ha già raggiunto l’apice della fama; Giuseppe, il suo fratello maggiore Carlo Andrea, e suo figlio Carlo Francesco sono, per il piccolo garzone, tutti uomini adulti, mentre il secondo figlio di Giuseppe, Giovanni Gerardo, è morto da soli 4 anni: mi sembra impossibile che in famiglia il ricordo del figlio morto (1796) sia già svanito, come non è possibile che l’apprendista non ricordi il fratello maggiore di Giuseppe, perché quando questi muore nel 1808, Cherubino di anni ne ha 18, e anche per Carlo Andrea, come per gli altri familiari, le esequie funebri celebrate a Parabiago furono solenni.
È possibile, dunque, che il sacerdote Mezzanzanica, non volendo rendere troppo corposo lo scritto (pubblicato a sue spese) si sia limitato a menzionare solo pochi protagonisti della famiglia Maggiolini, lasciando, viceversa, più spazio alle sue citazioni di testi classici “educativi”?
Va considerato, d’altro canto, che dopo Giuseppe la rinomata bottega porterà il nome del menzionato Carlo Francesco, unico ancora in vita dei Maggiolini, e che di lui il biografo ha potuto avere una, se pur limitata, conoscenza diretta – visto che quando questi muore (1834) lo scrivente ha 8 anni.
Non sappiamo per quanto tempo Giacomo Antonio visse in famiglia con il padre prima di iniziare la formazione sacerdotale, né quanto realmente entrambi i Mezzanzanica ricordino del passato, perciò, imputare gli omissis a una scelta consapevole o viceversa alla mancanza di un ricordo preciso, non è possibile. Giacomo Antonio Mezzanzanica dedica a Giuseppe Maggiolini, a suo figlio Carlo Francesco e al proprio padre la storia della bottega, ma probabilmente non sapremo mai se quanto descritto nel testo fu vissuto esclusivamente da questi soggetti e non anche dagli altri due parenti omessi. Non nascondendo il suo disappunto nei confronti del pensiero illuminista e per le riforme di emancipazione nate dalla rivoluzione Francese, G.A. Mezzanzanica nel redigere la biografia “coinvolge” Giuseppe Maggiolini in questo suo sentire, ne illustra, cioè, la vita e l’ascesa inserendo la narrazione nel racconto formativo che propone ai suoi lettori.
Il testo, romanzato, è ricco di aneddoti e, come fosse una commedia, riporta dialoghi di cui non esiste conferma. L’autore racconta di un timido e dimesso Maggiolini figlio del “camparo, ovvero guarda-boschi” del convento; ne esalta la vita umile – sostenuta da persone caritatevoli – dedita al lavoro e permeata della forte religiosità che gli permetterà di raggiungere gloria e fama. Secondo il suo racconto, persino le esequie dell’ebanista furono dimesse. Viceversa, gli ultimi studi d’archivio hanno evidenziato che furono celebrate da 13 sacerdoti, così come lo furono quelle del figlio Giovanni Gerardo, e come avveniva all’epoca per tutte le persone importanti del paese. Inoltre, oggi esiste la conferma di una personalità diversa. Infatti, quando il 16 novembre 1786 Maggiolini rende testimonianza giurata contro uno dei cistercensi nel processo tenutosi a Milano presso le carceri arcivescovili, da verbale dichiara: “Et io ho moglie e figli coi quali abito a Parabiago”, afferma di “attendere” a fare mobili di vario tipo che manda a “Roma, Genova, Dresda, Francoforte, Moscovia, ed altre corti” e asserisce che essi sono graditi per la qualità particolare e perché “di nuova invenzione“. Si tratta, quindi, di un uomo orgoglioso e autocelebrativo del proprio lavoro.
La biografia di Giacomo Antonio Mezzanzanica è stata la base da cui gli studiosi di Maggiolini hanno più o meno criticamente preso spunto da circa 150 anni. Lo scritto ha avuto indubbiamente il merito di farne conoscere sia la vita sia la produzione che lo rese famoso in tutta l’Europa del tempo. Resta, però, l’amarezza di una realtà storica alterata e lacunosa, purtroppo tramandata e riproposta fino ai nostri giorni.
Studio a cura di Gabriella Petrone – Restauratrice, studiosa di Maggiolini.
Bibliografia
Claudio Cavallero “Racconto istorico della celebre vittoria ottenuta da Luchino Visconti principe di Milano per la miracolosa apparizione di Santo Ambrogio” 1745 – Stampa Richino Malatesta- Milano.
Maria Luisa Gatti Perer “La chiesa e il convento di S. Ambrogio della vittoria a Parabiago” 1966 – I monumenti – Monografie di Arte Lombarda- Edizioni La Rete. Archivio Parrocchiale Parabiago; Registro nascite.
Alessandro Giulini “Il Collegio Cavalleri in Parabiago” 1907 – Tipografia Oliva & Somaschi – Milano.
Egidio Gianazza definisce “Gilardo, padre dell’ebanista, già agente di Cosimo Morigia, nel 1748”. Si veda E. Gianazza, G. Battista Morigia “Giuseppe Maggiolini: un tandem d’eccezione nel 1700”, in «Il Foglio di Parabiago», 10, dicembre 2008. Giuseppe Beretti “Laboratorio-Contributo alla storia del mobile neoclassico milanese” 2005 – Inlimine Edizioni.
Egidio Gianazza “Ricerche storiche sulla Chiesa Ambrosiana” 2008 – Stampa a cura del Centro Ambrosiano
Egidio Gianazza “Uomini e cose di Parabiago” 1990 – Stampa a cura del Comune di Parabiago.