Le Tele del Cavalleri
Nel 1791 la storia del laboratorio di Giuseppe Maggiolini, si incrocia con quella del Collegio Cavalleri di Parabiago. Questo era stato fondato nel marzo del 1700 da Don Claudio e Don Carlo Filippo Cavalleri come collegio convitto per l’istruzione e l’educazione della nobile gioventù di Milano e dintorni.
L’iniziativa ha successo e dopo pochi anni viene costruito il palazzo prospiciente la piazza ben noto ai Parabiaghesi.
Tra gli allievi del collegio si annoverano Giovanbattista Morigia e Angelo Maria Durini, cardinale nel 1776. Sul finire degli anni ’80, parte del Collegio è messa in vendita, sembra per far fronte ai debiti accumulati per le spese eccessive sostenute per festeggiare alcune autorità.
Nel 1810 il Collegio, ridimensionato, si trasferisce nei locali dell’ex monastero di S. Ambrogio della Vittoria, resi disponibili dalla soppressione napoleonica.
L’edificio, recentemente oggetto di una radicale “ristrutturazione”, comprendeva fabbricati all’angolo tra la Via S. Maria e la piazza e, dopo l’ampliamento realizzato da Claudio II Cavalleri, una torre osservatorio, sopravvissuta, e il salone comune identificato dal Mezzanzanica, adibito a refettorio e sala per rappresentazioni teatrali, perduto.
Nel 1791 dunque, Giuseppe Maggiolini acquista parte dell’immobile per far fronte alle necessità di spazio della propria bottega, dal momento che quella vecchia, ubicata tuttora sul lato opposto della piazza della chiesa a lui intitolata, è ormai insufficiente.
G. A. Mezzanzanica parla di intercessione dell’amico nobile Moriggia per l’acquisto: l’unica sua compiacenza alle ricchezze ed ai possedimenti, ritengo, la provasse solamente allorquando (e fu nel 1791), per assicurare alla sua officina uno stabile appoggio, e sottrarsi alle velleità e capricci dei locatori riuscì a far sua la casa nella quale chiuse i suoi giorni egli stesso, e il di lui figlio, e mio padre, loro erede. Colà si conserva ancora nel suo stato primitivo l’ampio salone…
Cerchiamo di saperne un po’ di più.
L’atto d’acquisto ne dà questa descrizione:
La sudetta casa consiste come segue: porta d’ingresso a tetto, Corte Giardino, Portico in quattro campate due stanze a piano Terreno e siti superiori, e questo nel rustico altra sala dove si eserciva il Teatro sito del Palco, altra saletta contigua co’ suoi superiori antiporti e telari, con vetri tutti considerati in detta stanza….
Nel 1814, alla morte del padre, l’attività del laboratorio è continuata dal figlio Carlo Francesco, e alla morte di questi, da Cherubino Mezzanzanica (1834)
Il testamento di Francesco ne fornisce una descrizione aggiornata: Porzione di casa posta in Parabiago, marcata sotto il numero 844, cioè il laboratorio e tutto quanto contiene, l’ingresso della portina verso piazza, la saletta contigua, due stanze superiori, il granaio superiore al laboratorio, a ciò che non sia afitato ad operari che frastorni i sig.ri Cavaleri, il portico in corte composto di tre campate compreso il stallino novo e sua superiore cascina, lasciando il pozzo della scala, questo sarà comune, come pure corte, pozzo, porta. In questa descrizione il riferimento al teatro scompare, e si fa riferimento solo alla nuova (cioè dal 1791) destinazione a laboratorio.
Al momento della scrittura di Genio e lavoro (stampato nel 1878), il laboratorio del Maggiolini, che ormai ha cessato l’attività, fa già parte della memoria della comunità locale: Colà si conserva ancora nel suo stato primitivo l’ampio salone, che tanto contribuì all’illustrazione della nomea dei Maggiolini.
Ma che aspetto aveva questo teatro? Dal momento che l’ambiente presso il collegio convitto Cavalleri non esiste più, ho ritenuto opportuno mostrarne un altro, nel quale mi sono imbattuto di recente piuttosto casualmente.
Non è necessariamente simile, né per aspetto né probabilmente per dimensioni, ma si tratta di un ambiente con le medesime funzioni in un edificio dello stesso tipo del Collegio Cavalleri. Il teatro in questione si trova in località Fontevivo, nei pressi di Parma. E’ stato ricavato all’interno dell’ala occidentale del chiostro dell’abbazia cistercense fondata nel 1142, in occasione della sua trasformazione in un Collegio per nobili, avvenuta nel 1733, per volere dei signori di Parma. Quello che intravediamo oggi è ciò che resta di una ristrutturazione dello stesso Collegio voluta dal duca Ferdinando di Borbone nel 1791.
A un’estremità del salone è collocato il palcoscenico, rialzato di circa un metro da terra e molto spazioso, oggi snaturato dall’inserimento di uno schermo per proiezioni. E’ visibile in sostanza solo il basamento, con sobrie decorazioni architettoniche rappresentate da alcune lesene.
Sappiamo da un disegno dell’epoca che era dotato anche di un proscenio.
Sul lato opposto, il palco delle autorità, dotato di semplici decorazioni che riprendono quelle del palcoscenico, e dipinto ancora con i colori originali.
E’ interessante osservare come, nonostante la larghezza dei mezzi a disposizione della famiglia regnante, e l’interesse diretto del Duca, l’apparato decorativo del teatro di Fontevivo non si spingesse fino alla ricercatezza un controsoffitto figurato, il che la dice lunga sulle ambizioni di Don Claudio II.
Ma torniamo a Parabiago.
I disegni del soffitto sono di Antonio Galli da Bibiena (1697 – 1774), l’esecuzione delle tele di Giuseppe Medici. La notizia si ricava indirettamente dalla cronaca dei festeggiamenti voluti da Don Claudio Cavallero II in onore di Mons. Angelo Maria Durini, come si è visto più sopra, ex allievo del Collegio, avvenuti nel giugno del 1777. Nella cronaca sono descritte le strutture provvisorie realizzate per i festeggiamenti, tra le quali il nuovo portico, disegno del rinomato sig. Cav. Antonio Bibiena, ed eseguito con isquisitezza dall’egregio pennello del Sig. Giuseppe Medici, le di cui opere eccellenti di sua invenzione, come eziandia del sopradetto cavaliere, formano singolare pregio ed ornamento al teatro del suddetto Collegio.
(Altri costosi festeggiamenti sono voluti da Don Claudio II nel 1767, in onore del Marchese Francesco Crivelli. Non stupisce che le casse del Collegio siano così dissestate, da rendere necessaria la vendita di una parte dell’immobile, che sarà, come si è visto, acquistato appunto dal Maggiolini).
La breve descrizione non consente di stabilire con certezza se il Bibiena sia stato effettivamente interpellato o se invece il Medici abbia fatto riferimento a disegni dello stesso prodotti per altri ambienti e pubblicati.
I tre frammenti sono di tela grezza dipinta a tempera, preparate a gesso e colla, che era inchiodata a telai lignei fissati al soffitto.
Insieme alle parti perdute davano luogo a un’illusione prospettica, formata da elementi architettonici in fuga verso un centro ideale, che inquadrano il cielo attraverso una balaustra, popolata di putti.
La balaustra corre lungo il perimetro del soffitto, come è usuale in questo tipo di dipinti, e come il fratello del Bibiena, Giuseppe, aveva già dipinto, senza putti ma con una complessa figurazione centrale, nel teatro dell’Opera di Bayreuth, costruito nel 1745-48 per volere della margravia Gugliemina Sofia, sorella di Federico II il Grande di Prussia.
I frammenti recuperati non consentono invece di dedurre se al centro delle linee prospettiche fosse collocata o no un’immagine focale.
La direzione delle linee prospettiche consente di valutare approssimativamente la posizione del punto di fuga. Se ne può dedurre che il salone fosse di grandi dimensioni, come già asserito dall’atto di acquisto (…l’ampio salone…).
Il soffitto continuava idealmente con una trabeazione sorretta da lesene che si sviluppavano lungo le pareti.
Può essere fatto un tentativo di ricostruire la collocazione originaria dei frammenti
Il teatro del Convitto passa di mano in mano, con varie destinazioni d’uso, per divenire nel dopoguerra sede di una banca, durante la realizzazione della quale viene posto in opera un controsoffitto moderno. Alla cessazione dell’attività dell’istituto, questo controsoffitto viene rimosso, portando alla luce quello originario dipinto dal Medici. E’ ormai ridotto a brandelli, alcuni dei quali pendono dal castello di sostegno in legno.
I tre frammenti più consistenti vengono fortunosamente recuperati da Don Marco Ceriani e da alcuni volontari dell’allora neonato Museo Carla Musazzi di Parabiago (fondato nel 1988) ed ivi trasportati.
Il primo di questi frammenti, quello con il putto a destra, viene restaurato negli anni della fondazione del Museo, gli altri due in occasione del recente riallestimento del museo stesso (2013) e della immediatamente successiva mostra per il bicentenario della morte dell’ebanista (2014).
Il restauro è stato eseguito da Gabriella Petrone con Barbara Barbini, ha collaborato Elena Morlacchi. La Direzione dei Lavori è della dott.ssa Cristina Quattrini, Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Milano.
Nel corso dei restauri la restauratrice Gabriella Petrone scopre che sul retro della tela più lunga sono disegnati a pennello due bozzetti che rappresentano palchi teatrali, dei quali peraltro sappiamo essere esperto il Bibiena.
E’ ipotizzabile un rapporto tra questi disegni e il salone; probabilmente riguardano un palco per insegnanti del Collegio e autorità, in posizione forse analoga a quello sopra illustrato di Fontevivo.
E’ suggestivo immaginare che sotto queste tele abbia lavorato il Maggiolini con la sua bottega.
E’ invece triste ricordare che dopo la demolizione, avvenuta nel contesto dei recenti lavori di ristrutturazione, i frammenti della decorazione del soffitto custoditi al Museo sono tutto ciò che resta del Teatro del Convitto – secondo laboratorio del Maggiolini.
PiErre
Iniziativa molto interessante . Porta a conoscenza lati.. “oscuri” ..della nostra storia.
Grazie